Pagina:Alcuni discorsi sulla botanica.djvu/134

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che Licaone figlio di Priamo usava potare di sua mano il fico nei giardini del padre, che i compagni di Ulisse erano divenuti sì ghiotti dei frutti del loto, che per essi dimenticavano perfino la patria. Altrove il poeta ti narra, che Giove aveva abbellita la terra del fiore odoroso della spodarella e del zafferano, che i prati di Callipso erano smaltati di viole, que’ presso al sasso di Leucade gremiti d’asfodeli, che Elena aveva avuto in dono da Polidamnia fra l’altre erbe quella nobilissima Nepente, la quale ha virtù di cacciare ogni memoria di tristezza, che Mercurio presentò ad Ulisse l’erba Moly a preservarlo dalla ubbriachezza nel banchetto, che gli avrebbe dato Circe, che questa terribile fattucchiera cibava i compagni del figliuol di Laerte col pasto dei porci, le cornie. E da suoi poemi vieni pure a conoscere, che il sepolcro di Ettione era contornato di olmi, che il letto nuziale del Re d’Itaca era fabbricato col legno di ulivo, che a far lance i greci adoperavano il frassino, a costruire navigli il larice, pei gioghi il bosso, per le stanghe e le travi l’abete, che il pioppo è albero amico dell’acqua, che nera è l’interna materia dell’elce, che sacra a Giove è la quercia, che il Cipresso tramanda forte odore, che il pino ha tal tempra da durare sotterra lungamente incorrotto. Esiodo, che è di poco posteriore ad Omero, nel suo poema didattico dei lavori e dei giorni di molte