Pagina:Alessandro Volta, alpinista.djvu/67

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III.

Ma non è solo nella parte occasionale de’ suoi viaggi che Alessandro Volta mostrò d’avere l’intuito dell’alpinismo: per altre manifestazioni non meno importanti egli merita d’essere collocato fra i precursori di questo grande prodotto del secolo che sta per chiudersi. Ecco innanzi a noi l’inventore della pila in veste di poeta-alpinista! Dieci anni dopo aver compiuto il viaggio nella Svizzera, egli dettò un carme in omaggio al suo amico De Saussure, che nell’agosto del 1787 riuscì finalmente nella impresa per tanto tempo agognata: quella, cioè, di toccare la vetta del Monte Bianco. Così merita pure di sedere fra i poeti della montagna, come fra i poeti della scienza per altre sue composizioni, e specialmente per un poemetto scritto a 19 anni in esametri latini sopra alcuni fenomeni chimici e fisici, e per una bellissima ode sull’innesto del vaiuolo, dettata quando era già maturo1. In un

  1. Maurizio Monti nella sua Storia di Como (vol. III, pag. 613) e Zanino Volta nella sua Biografia di A. Volta (pag. 70) accennano a questo poemetto e ne riportano alcuni versi che trattano della forza espansiva dei vapori e che il Volta fin ne’ suoi più tardi anni soleva ripetere a’ suoi figliuoli. Eccoli:

    Concava sic fuso conflatur et amphora vitro
    Quae cereis defixa (calor cum evasit ad intus
    Stagnantem lyinpham) saliens infringitur ultro,
    Extinguitque leves inopino murmurc flammas:
    Sic et castaneae molles, queis liquidus humor
    Arborei succi tumido sub cortice degit,
    Dum puer incautus subjectos assat ad ignes
    Erumpunt strepitu ingenti, finduntur et hiscunt:
    Sic oleo immixti latices, seboque tenaci
    Extricant se, crepitantque, ac vincula solvunt
    Dum prius ac oleum concepto ardore vaporant.

    Il dotto filologo, traduttore d’Ovidio, Giuseppe Brambilla, elogiò altamente questo lavoro giovanile del fisico di Como. Egli dice nella sua Commemorazione del Volta: (Como, Franchi, 1866): “Un giorno gli suonò all’orecchio il nome di Tito Lucrezio Caro e del suo grandioso poema intorno alla natura delle cose; lo ebbe, lo lesse più volte, lo meditò; ne prese tanto amore ed ammirazione, che divenne il suo più gradito maestro. Anzi, piena la mente delle materie verseggiate dal romano poeta, volle anche imitarlo, non già nello stile, che tale non era il suo scopo, ma nell’abbellir le scienze