Pagina:Alfieri, Vittorio – Della tirannide, 1927 – BEIC 1725873.djvu/158

Da Wikisource.
152
ii. del principe e delle lettere
 



E benché la scultura e pittura con una certa maschia libertá e filosofia possano lumeggiare i piú utili tratti della storia antica, e consecrare le piú libere imprese, nulladimeno, come arti mute, elle vengono lasciate fare e di esse poco si teme. Un principe non dará forse per tema ad un pittore la morte di Lucrezia, ma pure ne ricompenserá l’autore, e ne collocherá il quadro nella sua reggia, ancorché il gran Bruto col ferro in mano, e pien di mal talento contra i tiranni, nel quadro primeggi. Ma quello scrittore che sovra Bruto dicesse tutto ciò che l’eccellente pittore dée e vuole farne pensare e che la maestá di un tanto uomo richiede, non sarebbe certamente né egli né il suo libro egualmente ricompensato ed accolto nella reggia. E ciò perché? Perché assai piú dicono sopra Bruto le poche parole di Livio di quello che mai esprimerá o fará pensare un Bruto dipinto, o scolpito; e il fosse pur anco da Michelangelo stesso, il quale solo era degno di ritrarlo. E le parole di Livio son queste: «Iuro nec illos, nec alium quemquam regnare Romae passurum»1.

Capitolo Sesto

Che il lustro momentaneo si può ottenere per via dei potenti;

ma il vero ed eterno dal solo valore.

Io non saprei dar principio migliore a questo capitolo, che citando alcune parole di Tacito: «Meditatio et labor in posterum valescit; canorum et profluens cum ipso scriptore simul extinctum est»2.

Non credo io, né pretendo asserire ed espor cose nuove; benché forse non siano state trattate finora con questo stesso ordine; anzi a me pare che i medesimi artefici, cosí delle



  1. «Giuro, che né i Tarquini né uomo altro nessuno lascerò io giammai in Roma regnare». Livio, lib. I.
  2. «L’opera meditata, e accurata, cresce fra i posteri; le facili e canore baie col loro stesso scrittore si spengono». Tacito, Annales, lib. IV.