Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/341

Da Wikisource.

atto primo 335
Qual mai tuo servo fia di te piú vile?

Piú scellerato, quale?
Egisto   Esci.
Elet.   Serbata
mi hai viva, il so, per maggior pena darmi:
ma, sia che vuol, questa mia man, che il cielo
forse destina ad alta impresa...
Egisto   Or esci;
tel ridico.
Cliten.   Per or, deh!... taci,... o figlia:...
esci, ten prego:... io poscia...
Elet.   Da voi lungi,
pena non è, che il veder voi pareggi.


SCENA QUARTA

Egisto, Clitennestra.

Cliten. Rampogne udir per ogni parte atroci,

e meritarle!... Oh vita! a te qual morte
fu pari mai?
Egisto   Giá tel diss’io: di pace
aura spirar, finché costei dintorno
ci sta, nol potrem noi: ch’ella s’uccida,
gran tempo è giá, ragion di stato il vuole,
e il mio riposo, e il tuo: dannata a un tempo
è dal suo stolto orgoglio: ma il tuo pianto
vuol ch’io l’assolva. Al suo partir tu dunque
cessa di opporti: io ’l voglio, e indarno affatto
vi ti opporresti.
Cliten.   Ah! tel diss’io piú volte:
qual che d’Elettra il destin sia, mai pace,
mai non sará con noi: tu fra ’l sospetto,
io fra’ rimorsi, e in rio timore entrambi,
trarrem noi sempre incerta orrida vita.
Altra sperar ne lice?
Egisto   Addietro il guardo