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158 sofonisba
Scip. Eccoti inerme il petto mio: la destra

sprigionerotti, affin che me tu sveni;
ad altro, invan lo speri.
Sofon.   O Massinissa,
ti abborrisco se omai...
Scip.   Me sol, me solo
uccider puoi; ma fin ch’io vivo, il ferro
non torcerai nel petto tuo.
Massin.   — Rientro
al fine in me. — Scipion, tutto mi hai tolto;
perfin l’altezza de’ miei sensi.
Sofon.   Ingrato!...
Puoi tu offender Scipione? Ei mi concede,
come a Siface giá, libera morte;
mentre forse ei vietarcela potea:
a viva forza ei ti sottragge all’onta
di morte imbelle obbrobríosa: e ardisci,
ingrato ahi! tu, Scipio insultar? Deh! cedi,
cedi a Scipion; fratello, amico, padre
egli è per te.
Massin.   Lasciami omai: tu invano
il furor mio rattieni. Morte,... morte...
io pur...
Sofon.   Deh! Scipio... ah! nol lasciare: altrove
fuor della vista mia traggilo a forza.
Ei nato è grande, e il tuo sublime esemplo
il tornerá pur grande: a Roma, al mondo
sua debolezza ascondi... Io... giá... mi sento
gelar le vene,... intorpidir la lingua. —
A lui non do,... per non strappargli il core,...
l’estremo addio. — Deh! va: fuor lo strascína...
ten prego;... e me... lascia or morir,... qual debbe
d’Asdrubal figlia,... entro al... romano campo.
Massin. Ah!... Dalla rabbia,... dal dolor... mi è tolta...
ogni mia possa... Io... respirare... appena,...
non che... ferir...