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232 mirra
nell’infermo mio core entrata m’era,

che tu almen non mi odiassi: in tempo ancora,
per la tua pace e per la mia, mi avveggio
ch’io m’ingannava. — In me non sta (pur troppo!)
il far che tu non m’odj: ma in me solo
sta, che tu non mi spregj. Omai disciolta,
libera sei d’ogni promessa fede.
Contro tua voglia invan l’attieni: astretta,
non dai parenti, e men da me; da falsa
vergogna, il sei. Per non incorrer taccia
di volubil, tu stessa, a te nemica,
vittima farti del tuo error vorresti:
e ch’io lo soffra, speri? Ah! no. — Ch’io t’amo,
e ch’io forse mertavati, tel debbo
provare or, ricusandoti...
Mirra   Tu godi
di vieppiú disperarmi... Ah! come lieta
poss’io parer, se l’amor tuo non veggo
mai di me pago, mai? Cagion poss’io
assegnar di un dolor, che in me supposto
è in gran parte? e che pur, se in parte è vero,
origin forse altra non ha, che il nuovo
stato a cui mi avvicino; e il dover tormi
dai genitori amati; e il dirmi: «Ah! forse,
non li vedrai mai piú;...» l’andarne a ignoto
regno; il cangiar di cielo;... e mille e mille
altri pensier, teneri tutti, e mesti;
e tutti al certo, piú ch’a ogni altro, noti
all’alto tuo gentile animo umano. —
Io, data a te spontanea mi sono:
né men pento; tel giuro. Ove ciò fosse,
a te il direi: te sovra tutti estimo:
né asconder cosa a te potrei,... se pria
non l’ascondessi anco a me stessa. Or prego;
chi m’ama il piú, di questa mia tristezza
il men mi parli, e svanirá, son certa.