Pagina:Alfieri - Rime scelte, Sansoni, 1912.djvu/114

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86 rime varie


Fonte-branda1 mi trae meglio la sete,
Parmi, che ogni acqua di città latina;
Fama mi dà la stamperia Pazzina,
8Le cui bindolerie già poste ha in Lete.2
A Camollía3 mi godo il polverone;
E in su la Lizza4 il fresco ventolino.
11Al male il ben cosí compenso pone.
Ma il campo di mie glorie è il saloncino5


    versazione», scrivono I. Bernardi e C. Milanesi in Lettere inedite di V. A., (Firenze, Le Monnier 1864, 102)» si disputava pacificamente di scienze e di lettere, di morale e di politica; si raccontavano volentieri gli scandaluzzi e i pettegolezzi della città mascolini e femminini, le novelle correnti, condite di satire e di epigrammi, tramezzate con un po’ di mormorazione del prossimo; si facevano versi e prose d’ogni maniera, e, bisognando, anche all’amore, chi platonicamente e chi per davvero....». La regina di quel consesso.... era la Teresa». La Nina – dicono gli stessi Bernardi e Milanesi, in una nota a pag. 90 della loro opera – è Caterina,.... sorella di Pierantonio de’ Gori, la quale di diciannov’anni fu maritata, nel 1773, a Francesco Zondadari; nozze illustri, a cui intervenne il Granduca Pietro Leopoldo in persona. — Quanta fosse la gratitudine dell’A. verso questi Senesi che l’avevano cordialmente ammesso nel loro circolo e fatto partecipe delle loro conversazioni, meglio di ogni parola, testimonia il seg. sonetto, che il Gori reputava «attico per la forma ed elegantemente, gentilmente e spiritosamente adulatore» (Op. cit., 91, in nota):

    Siena, dal colle ove torreggia e siede,
    Vedea venir pel piano afflitta errante
    Donna di grazïoso alto sembiante,
    Che movea di ver Arno ignuda il piede.
    Chi mai sarà? l’un Savio all’altro chiede:
    Ma, sia qual vuolsi, or con veloci piaute
    A incontrarla ciascuno esca festante,
    Per far di nostra gentilezza fede.
    Era colei la Cortesia, che in bando
    Uscia di Flora, e al Tebro irne credea,
    Forse non meglio l’orme sue drizzando.
    Ma dei Sanesi il bel parlar le fea
    Forza cosí, che non piú innanzi andando,
    Tempio e culto, fra loro ebbe qual Dea.

  1. 5. Fontebranda è una delle diciassette parti contrade di Siena, quella ove nacque Santa Caterina, e prende il nome da una fontana di stile gotico (secondo alcuni quella menzionata da Dante, Inf., XXX, 78), che dissetò la intera città durante un memorabile assedio.
  2. 8-9. Presso Vincenzo Pazzini, Carli e figli di Siena, furono stampate nel 1783 dieci tragedie dell’A., cosí distribuite in tre volumi: il primo de’ quali contiene Filippo, Polinice, Antigone, Virginia, ed è di 423 pagine, il secondo, di 331, comprende Agamennone, Oreste Rosmunda; il terzo, di 314, Ottavia, Timoleone e Merope: è una stampa mal riuscita, di caratteri grandi, con troppe maiuscole, e l’A. ne rimase cosí scontento, che la tolse di circolazione. È perciò rarissima, ma io ho potuto vederne una copia alla R. Biblioteca di Lucca. Del resto, non soltanto fama dètte all’A. la edizione senese delle tragedie, ma gli tirò addosso (e lo dicemmo commentando il son. Non piú scomposta il crine, il guardo orrendo), aspre e numerose critiche, molte delle quali pubblicate o sotto pseudonimi o senza nome d’autore, e a cui l’A. rispose con alcuni de’ suoi piú mordaci epigrammi. Bindolerie, trufferie; allusione alla bruttezza dell’edizione pazzina, mentre l’A. si aspettava di vederne una bella, elegante e corretta. Qual stima avesse l’A. de’ suoi tipografi di Siena, dicano le segg. parole che scriveva a Mario Bianchi da Pisa, il 28 marzo 1785: «Questa è una città tutta composta di Pazzini, cioè bugiardi quanto lui, ma piú furbi e migliori assai». — Già poste ha in Lete, già ha dimenticate.
  3. 9. Camollía; la porta di Siena che mette sulla Via fiorentina.
  4. 10. La Lizza è il pubblico passeggio di Siena: si dice che di notte l’A. ne facesse di corsa a cavallo il giro tre volte.
  5. 12-14. Il Saloncino era annesso alla nuova fabbrica del Duomo, e vi recitava, col permesso del Granduca, una compagnia di dilettanti; ivi nell’84 furono rappresentate l’Oreste, l’Antigone, e il Filippo dell’A., nell’85 la Merope, nell’86 l’Ottavia, nel ’92 l’Oreste: oggi una lapide ricorda che ivi fu «il campo