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142 vittorio alfieri


CCXI (1790).

Volubil ruota, infaticabilmente
Rapida ferve; ed ora innalza, or preme
Le umane cose; onde timore e speme
Combatton sempre entro all’umana mente.

Sotto essa ruota, innumerabil gente
Insana io veggio, o ignara, od ambe insieme,
Che con mani bramose all’ali estreme
Tenta afferrarsi del paléo fuggente.

Schiomata Donna intanto, in nubi assisa,
Cieca torreggia, e col suo mobil piede
Del perpetuo rotar l’ordin divisa.

Chi Dea, chi Donna, e chi un Demón la crede,
Solo il Saggio un Fantasma in lei ravvisa:
E chi la segue, assai men ch’essa vede.

CCXII (1790).

«Sogno è, ben mero, quanto al mondo piace.»
Io, da che spiro, ardentemente anélo
Dietro a quell’aura instabile, che sface
L’Oblío talor, ma pria dell’uomo il velo.

E, coturnato il piè, già corsi audace
Stadj assai; nè per farsi argento il pelo,
La divorante fiamma in me si tace,
Ch’anzi ella scherne di Prudenza il gelo.

Or la lira, ora il socco, ora il flagello,
Ed or per anco hammi a tentare astretto
Prose, alto scoglio al nudo mio cervello.

Tutte abbracciar, del pari a tutte inetto,
L’arti del dir mi fea l’Amor del bello;
«Ond’io tornai con le man vuote al petto.»