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148 vittorio alfieri


CCXXIII (1791).

Se pregio v’ha, per cui l’un Popol deggia
Palma d’ingegno sovra l’altro aversi,
Pregio al certo sovrano egli è il valersi
Di favella che in copia e in suon primeggia.

Non v’ha parola, che un’idea non chieggia,
Come non fiume cui fonte non versi;
Nè mai dolci sonanti accenti fersi
Dov’organo perfetto non li echeggia.

Più le parole son, le idee più furo:
Più vaghe sono e splendide ed intere,
Più fu il valor della creante stampa.

Non v’è questo mio dire, Itali, oscuro,
Nostra è la palma or da Natura, e chere
Sol che si nutra in noi sua sacra vampa.

CCXXIV (1792).

Per queste orride selve atre d’abeti,
Ch’irto fan dell’aspre Alpi il fero dorso,
Donna mia, già soletto io tenni il corso
Tuoi rai seguendo, astri miei fidi e lieti.

Indivisibili or, contenti, e queti,
Più non temendo della invidia il morso,
Noi la via pittoresca a sorso a sorso
Libando andiam, come pittor-poeti.

Dopo quasi due lustri, alla bramata
Italia alfin rivolte l’orme, addio
Diam sempiterno alla Germania ingrata.

Liberi no, men servi assai, dal rio
Giogo d’arci-tirannide insensata
Là vivrem scevri, in prezïoso oblio.