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l’etruria vendicata. — canto ii 211


Così, fremendo, il giovin furïoso.
Ma risponde il fantasma in suon di sdegno:
Saggio fossi tu quanto ardimentoso!
Che val schietto valor contr’uom che ha regno,
E, baldanzosamente pauroso,
L’oro ha per schermo e il doppio astuto ingegno?
Se l’ordin tu dell’assalir non cangi,
Qui ’l tuo furor, qual onda a scoglio, infrangi.

Ti duol la frode: or di’; non è la frode
Che il primier di que’ vili in seggio pose?
Re qual divenne mai per l’esser prode?
Finte virtudi, iniquità nascose,
Fur l’arti ond’ebber nome e possa e lode.
Leoni no, ma volpi insidïose,
Cui non mi par che d’uom titol convenga:
Fraude vita lor diè, fraude li spenga.

Ben è lo inganno abbominevol, dove
Virtude ha loco e manifesta guerra:
Me già non strinse alle mendaci prove
Solo il cappuccio che viltà rinserra;
Più mi v’astrinse assai ragion che muove
Da lunga esperïenza che non erra.
Sfidar vorresti a singolar tenzone
Chi al tuo brando mannaia e scettro oppone?

Stupida in te se la ferocia fosse,
Allegarti potrei biblici esempi;
Come il rettor del cielo ei stesso mosse
Con frode l’armi a far trafigger gli empi;
Come spesso al tradir prendean le mosse
Perfin donzelle da’ suoi sacri tempi.
Ma se d’ebraici eroi tu sdegni l’orme,
Dienti i greci e i latin più illustri norme.

E Pelopida e Cassio e Bruto e quanti
Le man bagnâr nel sangue di tiranni,
Forti eran pure, e non di fraude amanti;
E tutti pure opraro in ciò gli inganni.
Che più? tu stesso al reo signor davanti
Non t’infingi ogni giorno, or già ben anni?
Tu il vedi pur, tu pur gli parli; e in core
Chiudendo l’odio, a lui dimostri amore.