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18 vittorio alfieri


XXXI (1778).

E s’egli è ver, che allo stellato giro
Libera e sciolta il vol dispieghi ardita
L’alma, e per morte in noi non sia finita
Ogni gioja, ogni spene, ogni martíro;

Io, fatto spirto, a nullo bene aspiro,
Che a quel ch’io m’ebbi innanzi alla partita;
La sola vista di beltà infinita,
A cui bontade ed onestà si uniro.

Là, se il gran Nume a dar ragion mi appella
Del mio terreno oprar, null’altro anelo,
Che poter dirgli: Io vissi anima ancella

Di duo begli occhi, e vagheggiai, nol celo,
Di quante festi mai l’opra più bella:
Nè merto altr’ebbi, che l’amor ch’io svelo.

XXXII.

Che fia? mi par che in cielo il Sol sfavilli
Oltre l’usato assai; l’aer più sereno,
Di mille odor soavemente pieno,
Par che ambrosia celeste in cor mi stilli.

Di tuo proprio splendor così non brilli,
Natura, mai; nè credo il bel terreno
Sacro a Venere avesse il dì sì ameno,
L’aure sì dolci, i venti sì tranquilli.

Or veggio, or veggio alta cagion, che muove
A pompeggiare ogni creata cosa,
Fogge vestendo alme, leggiadre e nuove.

Di sua magion, qual mattutina rosa,
Spunta colei che può far forza a Giove;
E si avanza ver me tutta amorosa.