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rime varie 25


XLV.

Quel già sì fero fiammeggiante sguardo
Del Macedone invitto emul di Marte,
Pregno il veggio di morte: è vana ogni arte,
Ogni rimedio al crudel morbo è tardo.

Or, se’ tu quei, che l’Indo, il Perso, il Mardo,
E genti e genti hai dome, estinte, o sparte?
Quei, che credesti a onor divini alzarte,
Piantando a Grecia in cor l’ultimo dardo?

Tu sei quel desso; e la natìa grandezza
Morendo serbi, qual chi in tomba seco
Porta di eterna gloria alta certezza.

Gloria? Oh qual sei di regia insania cieco?
Gloria a Persian tiranno, ove all’altezza
Nato era pur di cittadino Greco?

XLVI.

Tu piangi? oimè! che mai sarà?... Ma questa
Questa amorosa lagrimetta, figlia
Non è di duolo; e le serene ciglia
Fede or mi fanno in te d’alma non mesta.

Non, perchè celi un po’ l’aurata testa
Dietro candida nube Alba vermiglia,
Nocchier di scior sue vele si sconsiglia,
Nè quindi augurio trae d’atra tempesta.

Io, così, nulla temo, amati lumi,
Perchè alquanto vi veggia rugiadosi;
Ch’io so per prova, Amore, i tuoi costumi:

So che spesso i pensier del cor più ascosi,
Cui tu spiegar con lingua in van presumi,
Col dolce pianto io pienamente esposi.