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34 vittorio alfieri


LIV (1780).

Lasso! che mai son io? che a lento fuoco
Già mi consumo, e appena appena io vivo
Tosto che m’ha della mia donna privo
La sorte, ancor che sia (spero) per poco?

Debile canna ondeggio ai venti giuoco;
Or temo, or bramo, or vado, or penso, or scrivo;
Ma il fin di tutto è ognor di pianto un rivo,
Voler, poi disvoler, nè aver mai loco.

Or dico: Ardir, mio core; altrui se’ caro:
Acquetati. — Che giova? (ei mi risponde)
Viver senz’essa è più che morte amaro.

Medica man pietosa, alle profonde
Mie piaghe è tardo, è vano ogni riparo,
Se a me il destin per breve ancor ti asconde.

LV.

Già un dolce fiato in su le placid’ale
Di vento soavissimo, che spira
Di là dove il mio ben l’aure respira,
A confortar ne vien mia vita frale.

Già, se non fine, almen tregua al mio male
M’annunzia quanto intorno a me si aggira;
Già il mio cor meno indarno omai sospira;
Già già la speme al rio timor prevale.

Febo, pria che tre volte in mar l’aurato
Fervido carro tuo la esperid’onda
Accolga, alquanto mi vedrai beato.

Oh, qual mai gioja il petto egro m’inonda,
Nel dir: Tra poco il riveder m’è dato
Quella cui niuna è pari, nè seconda!