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392 saggio

Orazio col cuncta supercilio moventis1. Il Dryden nel proemio alla versione da lui fatta dell’Eneide paragona la rima con un vento transversale che poco o assai fa sempre deviare dal segno la saetta poetica. Tra i molti esempi che a confermazione di tal suo detto cavare si potríano dalla sua stessa versione, basti quello del quarto:

Naviget, hæc summa est, hic nostri nuntium esto.
Bid him with speed the Tyrian Court forsake,
With this command the slumb’ring warrior Wake.

Quanto mai la lungaggine del senso causata dall’obbedienza della rima non fa perdere di dignità al comando di Giove tanto risoluto e vibrato nell’originale? La quale lungagine affatto contraria allo spirito della Eneide domina generalmente in tutta la versione; non ostante i monosillabi e le ellissi di che abbonda la lingua inglese, e non ostante quella sua lincenza di mutilar le parole. E forse con non meno di verità che di modestia il Dryden ha posto in fronte a tale sua opera quella epigrafe cavata dallo stesso Virgilio:

. . . Sequiturque patrem non passibus æquis,

che staría pur bene in fronte a tutte le versioni, massimamente alle rimate.

  1. Io mi sono grandemente compiaciuto di avere dipoi trovato il medesimo luogo del Pope allegato come un fortissimo argomento contro alla rima dal signor Daniello Webb nelle sue Remarks on the beauties of Poetry, libretto uscito in luce l’anno 1762.