Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/116

Da Wikisource.
110 la divina commedia

     ché due nature mai a fronte a fronte
non trasmutò, sí ch’amendue le forme
102a cambiar lor materia fosser pronte.
     Insieme si risposero a tai norme,
che ’l serpente la coda in forca fesse,
105e il feruto ristrinse insieme l’orme.
     Le gambe con le cosce seco stesse
s’appiccar sí, che ’n poco la giuntura
108non facea segno alcun che si paresse.
     Togliea la coda fessa la figura
che si perdeva lá, e la sua pelle
111si facea molle, e quella di lá dura.
     Io vidi intrar le braccia per l’ascelle,
e i due piè de la fiera, ch’eran corti,
114tanto allungar quanto accorciavan quelle.
     Poscia li piè di retro, insieme attorti,
diventaron lo membro che l’uom cela,
117e ’l misero del suo n’avea due porti.
     Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela
di color novo, e genera il pel suso
120per l’una parte e da l’altra il dipela,
     l’un si levò e l’altro cadde giuso,
non torcendo però le lucerne empie,
123sotto le quai ciascun cambiava muso.
     Quel ch’era dritto il trasse ver le tempie,
e di troppa materia ch’in lá venne
126uscir li orecchi de le gote scempie:
     ciò che non corse in dietro e si ritenne
di quel soverchio, fe’ naso a la faccia,
129e le labbra ingrossò quanto convenne.
     Quel che giacea, il muso innanzi caccia,
e li orecchi ritira per la testa
132come face le corna la lumaccia;
     e la lingua, ch’avea unita e presta
prima a parlar, si fende, e la forcuta
135ne l’altro si richiude: e ’l fummo resta.