Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/175

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purgatorio - canto iv 169

     Noi salivam per entro il sasso rotto,
e d’ogni lato ne stringea lo stremo,
33e piedi e man voleva il suol di sotto.
     Poi che noi fummo su l’orlo supremo
de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,
36«Maestro mio,» diss’io «che via faremo?»
     Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia:
pur su al monte dietro a me acquista,
39fin che n’appaia alcuna scorta saggia».
     Lo sommo er’alto che vincea la vista,
e la costa superba piú assai
42che, da mezzo quadrante a centro, lista.
     Io era lasso, quando cominciai:
«O dolce padre, volgiti, e rimira
45com’io rimango sol, se non restai».
     «Figliuol mio,» disse «infin quivi ti tira»
additandomi un balzo poco in sue
48che da quel lato il poggio tutto gira.
     Sí mi spronaron le parole sue,
ch’i’ mi sforzai, carpando appresso lui,
51tanto che il cinghio sotto i piè mi fue.
     A seder ci ponemmo ivi ambedui
vòlti a levante ond’eravam saliti,
54ché suole a riguardar giovare altrui.
     Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
poscia li alzai al sole, e ammirava
57che da sinistra n’eravam feriti.
     Ben s’avvide il poeta ch’io stava
stupido tutto al carro de la luce,
60ove tra noi e Aquilone intrava.
     Ond’elli a me: «Se Castore e Polluce
fossero in compagnia di quello specchio
63che su e giú del suo lume conduce,
     tu vedresti il Zodiaco rubecchio
ancora a l’Orse piú stretto rotare,
66se non uscisse fuor del cammin vecchio.