Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/375

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paradiso - canto xiii 369

     Compié ’l cantare e ’l volger sua misura;
e attesersi a noi quei santi lumi,
30felicitando sé di cura in cura.
     Ruppe il silenzio ne’ concordi numi
poscia la luce in che mirabil vita
33del poverel di Dio narrata fumi,
     e disse: «Quando l’una paglia è trita,
quando la sua semenza è giá riposta,
36a batter l’altra dolce amor m’invita.
     Tu credi che nel petto onde la costa
si trasse per formar la bella guancia
39il cui palato a tutto ’l mondo costa,
     ed in quel che, forato da la lancia,
e poscia e prima tanto sodisfece,
42che d’ogni colpa vince la bilancia,
     quantunque a la natura umana lece
aver di lume, tutto fosse infuso
45da quel valor che l’uno e l’altro fece;
     e però miri a ciò ch’io dissi suso,
quando narrai che non ebbe ’l secondo
48lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
     Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo,
e vedrai il tuo credere e ’l mio dire
51nel vero farsi come centro in tondo.
     Ciò che non more e ciò che può morire
non è se non splendor di quella idea
54che partorisce, amando, il nostro sire:
     ché quella viva luce che sí mea
dal suo lucente, che non si disuna
57da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea,
     per sua bontate il suo raggiare aduna,
quasi specchiato, in nove sussistenze,
60eternalmente rimanendosi una.
     Quindi discende a l’ultime potenze
giú d’atto in atto, tanto divenendo,
63che piú non fa che brevi contingenze;