Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/477

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L’espressione dantesca è tanto energica nella Commedia che, per quanti guasti vi siano stati introdotti da insufficienza di copisti e di editori, e per quanti la critica meglio preparata non riesca a correggerne, è raro ch’essa perda di tono e di vigore, per la propria sovrana virtú. È come torrente d’alta vena che segue il suo corso forte, e i ciottoli cadutigli nell’alveo possono incresparne l’onda e le pietre fenderla, ma non mutarne il corso e la voce.

Questa letizia, ch’è di tutti i lettori, non toglie però di riconoscere che il compito di riportare il testo alla lezione originale non sia stato aspro in tutti i tempi, e quasi tormentoso nei nostri, quando piú si è sentito che la meta era vicina e pure irraggiungibile.

Oggi ognuno può sapere che cominciò quasi insieme con la prima divulgazione. Dei cinquecento e piú codici che sono rimasti (ricchezza faticosa e in gran parte esuberante allo scopo), il piú antico di data certa è il Landiano di Piacenza, scritto l’anno 1336 per un signore di Pavia, Beccario Beccaria, dottore in legge, potestá a Genova e in altre cittá d’Italia. Ebbene, questo antichissimo codice porta giá un numero cospicuo di correzioni, da un altro codice riputato migliore, tutte di mano dello stesso amanuense (un Antonio da Fermo), e, possiamo pensare, per volere e a cura del committente1.

Il Trivulziano 1080, di mano di un copista divenuto celebre nella sua professione (anche per la gentile leggenda dei Danti del cento), Fr. di Ser Nardo da Barberino, è dell’anno successivo; ma secondo indagini sagaci e probative, esso è derivazione

  1. Cfr. la riproduzione fotografica a cura di L. Olschki (Firenze 1921) e l'Introduzione di G. Bertoni.