Pagina:Alighieri, Giuliani - Opere latine vol I - 1878.djvu/110

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COMMENTI. 91



Adamo or dunque, vissuto quaggiù novecento trent’anni, poteva ben aver osservato ciò che dovette succedere nel suo primitivo Linguaggio, vale a dire, una moltitudine di vicende diverse per vocaboli spenti, nati e variati, senza che d’altra parte gli avesse a sembrare radicalmente e sostanzialmente mutato il linguaggio stesso. Nè da El ad Eli v’ha così fatta diversità, da indurci a credere che debba intendersi nello stretto rigore della parola, quando si dice, che la lingua parlata da Adamo fosse tutta spenta, prima ancora della mal tentata opera di Nembrotte. Bensì per le cose su ragionate bisogna supporre, che questo spegnimento siasi avverato soltanto in parti o condizioni accidentali da uno stato ad un altro nel modo or ora detto. Sopra che la nostra Loquela o forma di parlare, quella da Dio inspirata e concreata coll’Anima prima, fu dalle labbra di Adamo espressa, fatta, e indi parlata da tutti i suoi posteri sino all’edificazione della Torre di Babele. Indi questa forma di locuzione passò in retaggio ai figliuoli di Heber, che da lui furono detti Ebrei, e soli la conservarono dopo la confusione Babelica, acciocchè il Redentore nostro che, secondo l’umanità dovea nascere da essi, parlasse la lingua della Grazia, e non quella della Confusione: Vulg. El., i, 6. Di che possiamo tener fermamente, che la Lingua primitiva, parlata e fatta da Adamo, alla cui anima Iddio la concedette per dono di Creazione, fu la lingua Ebraica, che, non ostante le innumerevoli variazioni, alle quali dovette essere sottoposta nella lunghezza de’ secoli, rimase la stessa in molti vocaboli, nel suo radical fondamento, come pur nell’originale forma e nella sua sostanza. Tale è la dottrina di Dante in questo Libro; e, non che sia discorde da ciò che se ne ragiona nella divina Commedia, giova anzi a viepiù chiarirlo e determinarlo nella precisa maniera. Ma in siffatta quistione, del pari che in altre molte, non si sarebbe profuso tanto d’ingegno e di scienza, qualvolta, più che dell’apparire dotti e pronti a disvelare la mente propria, avessero gl’Interpreti imposto a sè stessi un obbligo di addentrarsi nella ragione e negl’intendimenti propostisi dall’Autore, ammirato pur di soverchio, ma non mai rispettato abbastanza.