Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/125

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emanuele filiberto a pinerolo 111

iniqua delle ingratitudini la vostra. Fin da ragazzo egli s’è consacrato tutto alla sua patria; egli è andato in esilio per noi; egli ha ereditato un paese in pezzi e in brandelli, e ne ha fatto uno Stato; è lui che ha riscattato Torino, Chieri, Chivasso, Villanova, la Savoia, le Provincie del Genevese e del Chiablese; è lui che ha fondato l’esercito, lui che ha rialzato le fortezze, lui che ha costrutte le galee che vinsero alle Curzolari, lui che ha riordinato gli statuti, ristorato l’erario, rianimati gli studi, rilevata la dignità nazionale e riacceso l’amor di patria.... scimunito. — L’ultima parola era piuttosto pensata che detta; ma il povero cugino che l’indovinava, ne rimaneva fulminato. E allora, per qualche giorno, tentava un’altra via, la cosa più ridicola di questo mondo, una certa imitazione d’ammiratore, o piuttosto uno scimmiottamento di certe abitudini e qualità esteriori del Duca: si levava presto, andava a giocare alla palla sui bastioni per fortificarsi le membra, sdegnava di aver qualsiasi riguardo per la salute, ruminava dei grandi pensieri, e parlava a monosillabi. E per un po’ di tempo l’esperimento non riusciva male. Ma poi, un giorno, un dialogo di questa specie lo rovinava. La signorina domandava: — In che stato sono le strade? — Egli rispondeva: — Fango. — Ma pare che il tempo si rimetta? — Pare. — Potremo andar domani all’Abbadìa? — Forse. — Credete che ci sarà molta gente? — Credo. — Una cordiale risata della cugina lo avvertiva spietatamente che il suo gioco era scoperto, e gli riattizzava in cuore un odio rabbioso contro la testa di ferro. E l’aveva