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le termopili valdesi 203

del Po, quasi svaniti nel cielo. Le poche case che trovavamo sulla via erano chiuse e mute. Non si vedeva nessuno da nessuna parte. Non c’era altro indizio di paese abitato che quelle tre chiese alte, bianche e solitarie, che sembravano allontanarsi come case fatate, via via che andavamo avanti. Anche il rumor del maglio era cessato. Non si sentiva più nulla. Ci pareva d’esser noi tre soli in tutta la valle, e nessuno parlava. Era una bellezza, uno stupore, un incanto.



Dopo un’ora e mezzo di cammino arrivammo sopra un’altura, alla sede della parrocchia di Angrogna: un gruppo di casette pulite, una tettoia, una piazzetta nel mezzo, piantata d’alberi, una iscrizione a una cantonata, in grandi caratteri: Pubblicazioni di matrimonio; un tempio bianco un po’ più in alto, in disparte, e tutt’intorno verzura, e non un’anima viva. Ma quasi subito sbucò dalla porticina d’un orto il pastore Bonnet. Io che m’aspettavo una specie di vecchio della montagna, rimasi molto maravigliato al vedere un bell’uomo sulla quarantina, con tutta la barba nera, alto e svelto, di viso sorridente e di modi amabili, vestito di scuro, ma con un certo garbo signorile, che se non avesse avuto la cravatta bianca, si sarebbe potuto pigliare per un capitano dei bersaglieri in villeggiatura. E fui anche più maravigliato, sapendo ch’era nativo d’Angrogna,