Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/277

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la marchesa di spigno 263

seguire il viaggio o ritornare in Savoia? Se avesse avuto un eccitamento, un cattivo consiglio da rimproverarmi, si sarebbe contentato di rimproverarmi il silenzio? Mi accusano di aver ordito la trama! Ma quale trama, Dio giusto, se Vittorio Amedeo scese in Piemonte come un fanciullo, senza aver nulla preparato, senz’aver cercato un aiuto, senz’essersi fatto un complice, senza saper neppure quello che si voleva? Che prove, che indizi d’una trama si son trovati nelle sue carte? Chi fece un passo, chi disse una parola per favorire il suo proposito? Si può pensare che io l’avrei lasciato correre a una simile impresa in quel modo, se ci avessi messo la mano? Dove sarebbe stato l’accorgimento, allora, la malizia fine e profonda, di cui mi accusarono? Avrei dovuto oppormi almeno, dicono, trattenerlo, persuaderlo. Ipocriti! Essi sapevan bene che il mio impero sopra di lui era già finito da un pezzo, che dopo i primi mesi di solitudine l’amore era volato via, che non era più lo stesso Vittorio Amedeo dopo l’insulto apoplettico del cinque di febbraio, che la mia parola non trovava più la via del suo cuore, che già aveva cominciato a contraddirmi, ad aspreggiarmi, a impormi tutti i suoi voleri; ch’io non ero più che una povera infermiera al suo fianco! Ma chi non comprende, cominciando da quel disgraziato giorno dell’apoplessia, chi non vede in tutti i suoi atti, nella sua condotta a Moncalieri, nelle sue imprudenze puerili, nei suoi discorsi contradittorii, nelle sue esitazioni, nelle sue povere collere d’infermo, chi non riconosce il corso, il pro-