Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/279

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la marchesa di spigno 265

tal, ch’era stata nel monastero il secolo innanzi....

— Ma fossi anche stata colpevole, — ripigliò la marchesa, — avrei meritato il castigo con cui mi schiacciarono? Sarebbe bastata una sola notte, quella orrenda notte di Moncalieri, all’espiazione d’ogni colpa. No, non fu giustizia, non fu umanità; mai, mai si troverà una onesta parola per scusare quell’abbominio. Per molti anni, a ogni rumore ch’io sentii, di notte, mi svegliai atterrita, e mi voltai verso la porta come per veder cadere i battenti sotto i colpi delle accette, e apparire il Conte della Perosa, gli ufficiali delle guardie e le torce.... Con le spade nude e con le baionette circondarono il letto! Ah! non si descrive, non s’immagina quello ch’è accaduto. Il re si avviticchiò disperatamente a me; io credei che mi restasse morto fra le braccia; ci separarono a forza, mi lacerarono i panni, mi trascinarono sul pavimento, seminuda, fuori della stanza. Io non vidi più nulla; ma sentii! Resistette. Pregava i suoi granatieri: Ma voi, miei bravi soldati, che m’avete servito fedelmente, che m’avete visto combattere cento volte in mezzo a voi, soffrirete che si tratti così il vostro vecchio re?... — Mi si schiantava l’anima. Tutto fu inutile. Orrore! Gli misero le mani addosso! a lui! al vincitore di Verrua, al liberatore di Torino, che aveva regnato per cinquant’anni e condotti in dieci guerre gli eserciti della lega europea! le mani addosso, come al più vile dei malfattori! Sentii lo strepito della lotta, le grida; lo portaron via ravvolto nelle co-