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nava per un allievo che gli pareva pericolante all’esame, e lo difendeva con la Commissione, gridando che lo dovevan provare con un cavallo anziano, non con un cavallo giovane; o ne vedeva un altro cader di sella nel campo degli ostacoli, coi piedi impigliati nelle staffe, e gridava: — Fermate! fermate! — cacciandosi le mani nei capelli, povero Baralis. E così, tutto al suo dovere anche nell’agonia, spirò. E l’antico trombettiere ebbe le onoranze d’un principe. La città intera si affollò dietro al suo feretro, e la cavalleria italiana gli pose sulla fossa un busto di marmo, che il suo valoroso e gentile colonnello, Eugenio Pautassi, scoprì, salutandolo con le più nobili parole che possano uscir dal cuore d’un soldato.

E così i comandanti e i maestri invecchiano e muoiono, e la Scuola è sempre giovane: essa riceve ogni anno un’onda di sangue vivo e ardente, che gorgoglia alcuni mesi fra le sue mura, e si rispande poi per tutta Italia a inturgidire e a rinfiammar le vene dei venti reggimenti di cavalleria, un po’ svigoriti e tediati dalla lunga aspettazione della prova. Poichè lo stato d’animo d’un esercito che dura nella pace da molti anni, è molto simile a quello d’una ragazza, a cui il tempo fugge e l’amor non arriva. E la stessa dubbiezza stanca e impaziente ad un tempo è nell’animo di chi ne parla o ne scrive, perchè se è inumano da un lato il desiderar la guerra per la guerra, non ci è possibile dall’altro il salutare e ammirare questo tesoro sacro di giovinezza, di forza e di ferro, senza che ci trascini l’affetto, ogni momento,