Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/157

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anche lei si sciolse di nuovo dal suo incanto malefico.

Era arrivata presso la siepe che costeggiava la strada. Nel fosso cantavano le rane, ed era proprio un concerto, il loro, col primo ed il secondo violino, l’oboe ed il contrabbasso; solo che gli strumenti erano scordati ed arrugginiti e le voci stridule: eppure quella del primo violino esprimeva una passione giovanile, un’invocazione così disperata all’amore, che la stessa acqua del fosso ne pareva agitata: era il riflesso della luna che stillando tra foglia e foglia riempiva di smeraldi tremuli il rifugio delle rane. Tutto è bello quando si tratta di amore.

E la donna proseguì la sua strada, con un grande sospiro dentro soffocato. Mai come in quella notte si era sentita sola e combattente contro le forze avverse del suo sesso; e mai le era apparso tutto così vano, anche la sua stessa fatica e l’edifizio della sua famiglia, poichè la vita che ancora rimaneva in lei doveva morire con lei.

E se camminava così, nel vuoto, nel cangiante chiarore della notte turbata, sentiva di farlo per macerare quella sua inutile forza vitale, o darle almeno uno sbocco nel sogno.