Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/36

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se non aiutato: non era paralitico, ma era ebete, e non prendeva più parte alle questioni di famiglia. Il medico aveva assolutamente proibito di dargli da bere vino, ed egli, perduto l’unico scopo della sua vita, era caduto in melanconia. Non badava neppure più a me, che un tempo ero stato il suo preferito; e quindi la gelosia mi rôse quando invece vidi entrare nelle sue buone grazie la zingara. La compagnia di lei pareva lo rianimasse; egli le dava qualche soldo, la mandava a fare commissioni segrete, le insegnava certi giuochi col refe e filastrocche senza senso ch’ella imparava subito. Avvenne così ch’ella prendesse padronanza in casa. Cominciò col picchiare la piccola Lena, e poichè io difendevo la sorellina, si gettò anche su di me e mi morsicò. Il curioso è che la nostra mamma le voleva bene e la difendeva. È una povera orfana, diceva, lontana dalla sua terra; è una figlia del buon Dio e bisogna aiutarla. Ma non basta; anche gli zii, i contadini, i vicini di casa, tutti erano affezionati a lei. Solo io le tenevo il broncio; e lei mi veniva sempre appresso e mi beccava come una cornacchia. E se parlava, col suo linguaggio proprio da zingari, ed io stentavo a capirla, mi sbeffeggiava e mi assaliva.