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235 ANNALI D'ITALIA, ANNO LXV. 236


Anno di Cristo LXV. Indizione VIII.
Lino papa 1.
Nerone Claudio imperad. 12.


Consoli


Aulo Licinio Nerva Siliano e Marco Vestinio Attico


In una iscrizione, rapportata dal Doni e da me1, si legge SILANO ET ATTICO COS. Se questa sussiste, non Siliano, ma Silano sarà stato l’ultimo dei suoi cognomi. Il cardinal Noris ed altri sostentano Siliano. Per attestato di Tacito, avea Nerone disegnati consoli per le calende di luglio, Plauzio Laterano, dalla cui persona o casa riconosce la sua origine la Basilica Lateranense, ed Anicio Cereale. Il primo, in vece del consolato, ebbe da Nerone la morte, siccome dirò. Fece lo stesso fine Vestino Attico, cioè l’altro console ordinario. Però si può tenere per fermo che Cereale succedesse nel consolato. Roma2 in questo anno divenne teatro di morti violente per la congiura di Caio Calpurnio Pisone, che fu scoperta. Era questi di nobilissima famiglia, ben provveduto di beni di fortuna, grande avvocato dei rei, e però comunemente amato e stimato, benchè dato ai piaceri ed al lusso, e mancante di gravità di costumi. Sarebbe volentieri salito sul trono, e per salirvi conveniva levar di mezzo Nerone; il che non parea tanto difficile, stante l’odio comune. S’egli fosse il primo ad intavolar la congiura, non si sa. Certo è bensì che Subrio, o sia Subio Flavio, tribuno di una compagnia delle guardie, e Mario Anneo Lucano nipote di Seneca, e celebre autore del poema della Farsalia, furono de’ primi ad entrarvi, e de’ più disposti ad eseguirla. Per una giovanil vanità Lucano (era nato nell’anno 39 dell’Era nostra) non potea digerire che [p. 236]Nerone, per invidia, e pazza credenza di saperne più di lui in poesia, gli avesse proibita la pubblicazione del suddetto poema, ed anche di far da avvocato nelle cause. Entrò in questo medesimo concerto anche Plauzio Laterano, console designato, per l’amore che portava al pubblico. Molti altri, o senatori, o cavalieri, o pretoriani, ed alcune dame ancora, chi per odio e vendetta privata, e chi per liberar l’imperio da questo mostro, tennero mano al trattato. Proposero alcuni di ammazzarlo, mentre cantava in teatro, o pur di notte, quando usciva senza guardie per la città. Altri giudicavano meglio di aspettare a far il colpo a Pozzuolo, a Miseno o a Baja, avendo a tal fine guadagnato uno de’ principali uffiziali dell’armata navale. In fine fu stabilito di ucciderlo nel dì 12 di aprile, in cui si celebravano i giuochi del Circo a Cerere. Messo in petto di tanti il segreto, per poca avvertenza di Flavio Scevino traspirò. Fece egli testamento; diede la libertà a molti servi; regalò gli altri; preparò fasce per legar ferite: ed intanto, benchè desse agli amici un bel convito, e facesse il disinvolto, pure comparve malinconico e pensoso. Milico suo liberto osservava tutto, e perchè il padrone gli diede da far aguzzare un pugnale rugginoso, s’avvisò che qualche grande affare fosse in volta. Sul far del giorno questo infedele, animato dalla speranza di una gran ricompensa, se n’andò agli orti Serviliani, dove allora soggiornava Nerone, e tanto tempestò coi portinai, che potè parlare ad Epafrodito liberto di corte, che l’introdusse all’udienza del padrone. Furono tosto messe le mani addosso a Scevino, che coraggiosamente si difese, e rivolse l’accusa contro del suo liberto. Ma perchè si seppe, avere nel dì innanzi Scevino tenuto un segreto e lungo ragionamento con Antonio Natale, ancor questo fu condotto dai soldati. Esaminati a parte, si trovarono discordi, e poi alla vista de’ tormenti confessarono il disegno; e rivelarono i

  1. Thesaurus Novus Inscription., pag. 305, num. 4.
  2. Tac., Annal., lib. 15, cap. 48 et seq. Dio., lib. 61. Sueton., in Nerone, cap. 36.