Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/510

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quelle provincie. Scrive Aurelio Vittore2535 che a’ tempi d’esso Aureliano un certo Settimio nella Dalmazia prese il titolo d’imperadore, e da lì a poco ne pagò la pena, ammazzato da’ suoi proprii soldati. Quando ciò avvenisse, nol sappiamo. Per attestato bensì di Vopisco, Aureliano, perchè Cannabaude re e duca dei Goti dovea aver commesso delle insolenze nel paese romano, passato il Danubio, l’andò a ricercar nelle terre di lui; e datagli battaglia, lo uccise insieme con cinque mila di que’ Barbari combattenti. Probabilmente fu in questa congiuntura ch’egli prese la carretta di quel re, tirata da quattro cervi, su cui poscia entrò a suo tempo trionfante in Roma, siccome diremo. Furono trovate nel campo barbarico molte donne estinte vestite da soldati, e prese dieci di esse vive. Molte altre nobili donne di nazione gotica rimasero prigioniere2536, che Aureliano mandò dipoi a Perinto, acciocchè ivi fossero mantenute alle spese del pubblico, non già cadauna in particolare, ma sette insieme, acciocchè costasse meno alla repubblica. Sbrigato da questi affari, marciò Aureliano a Bisanzio, e passato lo stretto, al solo suo comparire ricuperò Calcedone e la Bitinia, che Zenobia avea sottomesso al suo imperio. Zosimo2537 nondimeno asserisce aver la Bitinia scosso il giogo de’ Palmireni, fin quando udì esaltato al trono Aureliano. Ancira nella Galazia sembra aver fatta qualche resistenza: certo è nondimeno che Aureliano se ne impadronì. Giunto poscia che egli fu a Tiana, città della Cappadocia2538, vi trovò le porte serrate e preparato quel popolo alla difesa. Dicono che Aureliano in collera gridasse: Non lascerò un cane in questa città. Vopisco, grande ammiratore del morto Apollonio, filosofo celebre, anzi mago, nativo di quella città, di cui tanto egli come altri antichi raccontano varie maraviglie, cioè molte favole, e che era tenuto da que’ popoli per un dio: Vopisco, dico, racconta ch’esso Apollonio comparve in sogno ad Aureliano, e lo esortò alla clemenza, se gli premeva di vincere: parole che bastarono a disarmare il di lui sdegno. Venne poi a trovarlo al campo Eraclammone, uno dei più ricchi cittadini di Tiana, sperando di farsi gran merito, col tradire la patria, e gl’insegnò un sito per cui si poteva entrare nella città. Fu essa, mercè di questo avviso, presa con facilità; e quando ognun si aspettava di darle il sacco, e di farne man bassa contro gli abitanti, Aureliano ordinò che fosse ucciso il solo traditore Eraclammone, con dire che non si potea sperar fedeltà da chi era stato infedele alla sua patria; ma lasciò godere ai di lui figliuoli tutta la eredità paterna, affinchè non si credesse che lo avesse fatto morire per cogliere le molte di lui ricchezze. Ricordata ad Aureliano la parola detta di non lasciare un cane in Tiana: Oh, rispose, ammazzino tutti i cani, che ne son contento: risposta applaudita fin dai medesimi soldati, benchè contraria alla lor brama e speranza del sacco. Se crediamo a Vopisco2539, Aureliano, continuato il cammino, arrivò ad Antiochia, capitale della Soria, e dopo una leggiera zuffa al luogo di Dafne, entrò vittorioso in quella gran città; e ricordevole dell’avvertimento datogli in sogno da Apollonio Tianeo, usò di sua clemenza anche verso di que’ cittadini. Passando dipoi ad Emesa, città della Mesopotamia, quivi con una fiera battaglia decise le sue liti con Zenobia. Ma Zosimo2540 diversamente scrive. Zenobia con grandi forze lo aspettò di piè fermo in Antiochia, e mandò incontro a lui la poderosa armata sua sino ad Imma, città molte miglia distante di là. Gran copia di arcieri si contava nello