Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/592

Da Wikisource.

ma in certa guisa gliel comandarono. Per paura mostrò egli della prontezza a farlo; e, pubblicato un editto, l’inviò a Sabino e agli altri uffiziali del suo imperio. Ma nè pure per questo cessò il suo mal talento, perchè di nascosto faceva annegar quei cristiani che gli capitavano alle mani; nè permetteva loro di raunarsi, nè di fabbricar le chiese loro occorrenti. Giacchè i suddetti due Augusti in Milano confermarono il già fatto editto per la pace de’ cristiani, alcuni han creduto che comunicassero di nuovo ancor questo a Massimino, ma senza apparirne pruova alcuna. Anzi abbiamo che lo stesso Massimino cominciò la guerra a Licinio nel tempo stesso che questi venne a trovar Costantino in Milano. S’era avuto non poco a male quel superbo3074 che il senato romano avesse decretata la precedenza di Costantino agli altri due Augusti, nè sapeva digerire la vittoria da lui riportata contro Massenzio. S’aggiunse che egli avea bensì tenuta nascosta la sua lega con Massenzio, ma di questa venne ad accertarsi Costantino colle lettere trovate dopo la morte del tiranno nella di lui segreteria. Il perchè immaginando egli un mal animo in Costantino verso di sè, vieppiù gli crebbe la rabbia al vedere ito Licinio a Milano per abboccarsi con esso Costantino e per contrarre parentela con lui, perchè tutto a lui pareva concertato per la propria sua rovina. Determinò dunque di prevenir egli i veri o creduti suoi avversarii; e preso il tempo medesimo in cui Licinio Augusto si trovava lungi da suoi Stati per la sua venuta a Milano, mosse l’esercito suo, e a gran giornate dalla Soria si trasferì nella Bitinia. Durava tuttavia il verno; il rigor della stagione, le nevi, le pioggie, le strade rotte gli fecero perdere gran parte de’ suoi cavalli e delle bestie da soma. Ciò non ostante, senza prendere posa, traghettato lo stretto, passò nella Tracia, e si presentò sotto Bisanzio, dove coi regali e colle promesse tentò indarno di sedurre quella guarnigione, e gli convenne adoperar la forza. Perchè erano pochi i difensori, non più che undici giorni sostennero l’assedio e gli assalti, e poi si renderono. Arrivato Massimino ad Eraclea, ivi ancora fu obbligato a spendere alquanti giorni per ridurre alla sua ubbidienza quella città. Un ritardo tale al corso delle sue armi servì ai corrieri per portare volando in Italia l’avviso della invasione, e a Licinio per tornarsene con diligenza a’ suoi Stati. Quivi in fretta raunate quelle truppe che potè, s’innoltrò sino ad Andrinopoli non già col pensiero di venire ad alcun fatto d’armi, ma solamente per fermare le ulteriori conquiste di Massimino, perch’egli non avea più di trenta mila combattenti, laddove il nemico ne conduceva settanta mila. Il racconto è tutto di Lattanzio. Seguita egli poi a dire che giunsero a vista l’una dell’altra le due armate tra Andrinopoli ed Eraclea3075. Era il penultimo dì d’aprile, e Licinio, veggendo di non poter fare di meno, pensava di dar battaglia nel giorno primo di maggio, perchè, essendo quel dì in cui Massimino compieva l’anno ottavo dell’esaltazione sua alla dignità cesarea, sperava di vincerla, come era succeduto a Costantino contra Massenzio in un simile giorno. Massimino, all’incontro, determinò di venire alle mani nell’ultimo di aprile, per poter poi dopo la segnata vittoria festeggiare nel dì appresso il suo natalizio. E la vittoria se la teneva ben egli in pugno, dopo aver fatto voto a’ suoi insensati Numi, che guadagnandola, avrebbe interamente esterminati i cristiani. Ora Licinio, che non potea più ritirarsi, nella notte in sogno fu consigliato di ricorrere per aiuto all’onnipotente vero Dio d’essi cristiani con una preghiera ch’egli poi, venuto il giorno, fece scrivere in assaissimi biglietti, e distribuire fra l’esercito suo. La rapporta