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bligò il vescovo a riconciliarsi coi sudditi e a sottoscrivere una convenzione dannosa alla Chiesa. In forza di essa era accordato un ampio perdono ai ribelli e affidato il governo del Principato allo stesso duca, coll’aggiunta della rinunzia da parte del vescovo a tutti i tribunali sì ecclesiastici che secolari, pontificii e imperiali; lasciando al nostro prelato il solo dominio spirituale, e di questo quella sola parte che meno nuoceva ai suoi interessi. Ma il vescovo, mal comportando la perdita de’ suoi diritti, ritrattò poco dopo la convenzione suddetta, asserendola strappata dal timore di mali maggiori, e tentò di ricuperare dai cittadini la custodia delle mura e le chiavi delle carceri. Non riuscì nell’intento, prevenuto dal duca che lo fece imprigionare nella propria residenza e quindi tradurre in Innsbruck; dopo avere spogliato il Castello del Buon Consiglio dei vasellami d’oro e d’argento, dei mobili più preziosi, e dei documenti più importanti dell’Archivio vescovile; parte dei quali furono restituiti solamente nel 1525 al vescovo Bernardo Clesio da Ferdinando re dei Romani. Nella speranza di sfuggire a tante calamità, il vescovo Giorgio si lasciò indurre a rimettere le sue differenze col conte del Tirolo alla decisione di Gherardo arcivescovo di Salisburgo e di Ernesto duca d’Austria. Eberardo pronunziò il suo laudo nel 1409; il quale aggiudicava al nostro vescovo la libertà propria e il temporale dominio di Trento, e la restituzione della mitra, del pastorale, dei vasi d’oro e d’argento, delle vesti preziose, dei libri e delle scritture che gli erano state carpite. L’altreFonte/commento: Pagina:Annali del principato ecclesiastico di Trento dal 1022 al 1540.djvu/567 laudo, del