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232 Azioni di Generali

Sul far del giorno i Barbari eressero due batterie, colle quali tutta la mattina fulminarono i Cristiani. Indi sotto gli occhi del Sultano, che vi accorse colla presenza, vennero all’assalto, ora tentando di diroccare il riparo, ora piantando scale per salire sopra. A’ stanchi, e a’ feriti sottentravano truppe fresche, mantenendo sempre viva la zuffa. Per cinque ore i Cesarei, risoluti di non morire invendicati, sostennero la battaglia con ogni sorte d’arme. Tre volte cacciarono fuori i nemici, che si erano intrusi nelle trincee. Co’ corpi estinti chiusero le aperture fatte. Dieci volte ripulsarono gli aggressori. Contra la piena de’ Barbari il Veterani animava le truppe ad operare con fermezza, e con generosità. Finalmente vedendo defaticati, e quasi privi di forza i suoi Soldati; poichè i medesimi dovevano far fronte continuamente a’ nuovi battaglioni, e squadroni Turcheschi, che si davano a vicenda la muta; pertanto applicò alla ritirata, nella quale volle tenersi al retroguardo. Di tempo in tempo colle ultime file rivolgeva la faccia. Allora, chi scrive una moschettata, cogliendolo nella mamella sinistra, e chi ne annovera cinque, lo gettarono da cavallo mezzo morto. Raccolto da’ suoi, fu collocato nella propria carrozza, per essere condotto in salvo. Il cocchio incagliò nella palude, senza poterlo muovere. E però fu d’uopo metterlo a cavallo con l’assistenza di due a’ lati; perchè da sè solo non poteva reggersi. Dovendo poi viaggiar lentamente, fu sopraggiunto da’ Barbari, che cacciatolo di sella, lo trucidarono a loro voglia. Presentata la testa dell’ucciso al Gran Signore, esso commiserò la disgrazia di soggetto, dotato di segnalata virtù; e ordinò, che unito al capo il busto, fusse seppellito onorevolmente. I Turchi medesimi lo esaltavano col nome di Gloria de’ Cristiani. Era Cavaliere d’una fedeltà inalterabile verso l’Augusto Signore, in cui non la cedeva a’ sudditi nazionali. Appresso tutti riportava il vanto d’eccellente integrità, di singolare modestia, di temperante astinenza, di savissimo consiglio, e di robustissimo valore. Fra tanti Capitani, che finirono di vivere nel corso della presente guerra, di niuno fu tanto compianta la morte con sincero, ed affettuoso dolore, dopo la perdita del Serenissimo di Lorena, quanto quella di sì Illustre Generale. Urbino sua Patria può con ragione gloriarsi di Personaggio eminente in tante doti preclare. Nella battaglia perirono da tre mila Cristiani: e degl’Infedeli, chi scrisse cinque, chi otto mila, tra’ quali il Beglierbec di Romania, il Bassà d’Albania: molti Capi de’ Gianizzeri, e degli Spay. Per questi, benchè poco rilevanti avvantaggj, s’insuperbirono tanto il Sultano, quanto i suoi Generali. Crebbero in orgoglio, e in isperanze; finchè due anni dopo il Principe Eugenio diede loro disfatta così orribile al Tibisco, che li costrinse a concordia, la più disavvantaggiosa di quante avesse mai