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94 fiore di virtù.

CAPITOLO XXXV.

Della castità appropriata alla tortora.

Castità, secondo che dice Tullio, si è una virtù per la quale ragionevolmente si rifrena lo stimolo della carne e della lussuria. E puossi assimigliare la virtù della castità alla tortora, la quale non fa mai fallo al suo compagno; e se addivenisse che l’uno di loro morisse, l’altra si serva castità, nè truova mai altra compagna, e sempre fa solitaria vita, e mai non bee d’acqua chiara, e non si pon mai in su albero o ramo verde. Santo Girolamo dice della virtù della castità: Sovrana virtù è la castità, la quale leggermente si guasta chi non raffrena la gola, gli occhi e ’l cuore. Nella Somma de’ vizj si legge: Chi perfettamente vuole avere castità in sè, conviene ch’egli si guardi da sei principali cose: La prima, da mangiare e da bere soperchio. Nella Vita de’ Santi Padri si legge: Com’è impossibile a ritenere la fiamma, s’ella sta nella paglia; così è a rifrenare l’ardente volontà della lussuria, essendo lo corpo bene satollo. La seconda si è a schifare l’oziosità. Ovidio dice: Schifa l’oziositade, se vuoi schifare lussuria. La terza si è, che l’uomo si guardi della troppa familiaritade delle femmine. Santo Bernardo dice: A conversare l’uomo e la femmina insieme, e guardarsi di peccare, maggiore cosa è che risuscitare morti. La quarta è a guardarsi da persona