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La conoscenza del dialetto confrontato nelle sue voci colla lingua, massime coll’antica, valendo a rivendicarlo bene spesso da corrive tacce di esoticità, e osservando come assai detto nostro vernacolo somigli alla lingua, e più quando questa, a detta di Dante, lingua siciliana chiamavasi che poscia fu detta italiana, io ho voluto anco studiarmi in ciò pure che il potesse rivendicare, coll’andar accennando qui e lì voci italiane antiche o poetiche le quali siano od uguali o simili alle nostre del dialetto. Nè è mestieri che mi dilunghi a sostenere la somiglianza di su detta del nostro dialetto colla lingua nazionale, e più coll’antica o poetica, di cui grandi Siciliani hanno più a disteso trattato1; basterebbe dar uno sguardo agli aurei scritti de’ primi secoli della lingua, ove rinvengonsi mille e mille voci uguali alle nostre o con quella inflessione che è nel genio del nostro dialetto: bontate, farìa, dirìa, addisiare, tempora, aggio, averaggio, morraggio, partiraggio, morìo, affiebolìo, levao, durao, infiammao, bilanza, comenza, appojare, ardiscio, auto, saccio, sape, sapia, sapemo, avemo, canoscenza, fora (sarebbe), fuire, suso, loco (costi), cchiù, obbrigare, risprendere, semana, chisto, chillo ecc., alcune delle quali sono o d’uso tuttavia in poesia o nel popolo Toscano. Nel modo istesso con cui rivendico parecchie voci credute straniere e ritrovate nella lingua italiana, io accenno pur anco la origine di alquante voci venuteci da fuori. Non presumo spacciare per filo e per segno la fortuna delle parole come se vi fossi stato li presente; non è l’etimologia generale che io voglia tessere, bensi, ove mi venga il destro, mettere sott’occhio al lettore comechè se in noi è la tal voce che pur sembra assai di lungi dalla italiana, quest’essa non è che una voce quale fu usata dagli antichi scrittori italiani; e metter altresì sott’occhio la provenienza di quelle voci nostre, le quali mostrino più probabilità di essere di straniera importazione; ma non ad ogni voce vernacola non rinvenuta nell’italiano le si può cennar l’etimologia, avvegnachè alcune son pur nate qui, indigene, ed io in tal dubbio ritrovandomi, per non abborracciare, forzate origini mi son sovente contentato lasciar tali voci scrive scrive senz’altro cenno etimologico. Essendomi avvenuto a vocaboli pur derivanti d’altra lingua ma accettati nella italiana, facendo io loro corrispondere detta voce italiana, tralasciato ho d’altra parte di citarne l’origine, perciocchè tali voci non sarebbero più specialità vernacole ma corredo comune.

Le quali cose predette, ecco ora suppergiù il modo che io ho tenuto nella compilazione di esso: primieramente ho cercato restringermi quanto ho potuto onde far capire in poco volume più cose; ho ristretto o tolto definizioni di cose troppo note o di cui alla voce principale si faccia distesa spiegazione. Quando una voce ha più maniere di ortografia, ho registrato ogni maniera in guisa che la men comune o di meno retta scrittura richiami la più vera, secondo me, alla quale sola ultima ho messo i derivati. Ho tolto dagli esistenti Vocabolari certi vocaboli come: adustioni, altresì, czar, esergu, esofagu, transustanziazioni, velleità, veridicu, vetustu siccome voci non siciliane ma sicilianizzate forzatamente; a questo modo ogni voce di scienza è sicilianizzabile ed abbisognerebber volumi e volumi a comprendere la tecnologia Architettonica, Militare, Medica, Archeologica, Araldica, Astronomica, Teologica, Mitologica, Chimica ecc. ecc., non più Vocabolario ma sarebbe una Enciclopedia... ma di vero

  1. Dico del Giudici, del Sanfilippo, del Vigo e di altri benemeriti delle lettere.