Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/149

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libro ii. 123

O amici, quanto è in noi potere, a voi
     Mai nè d’un punto pur non verrà meno
     1610L’aita nostra ov’uopo fia; ma ferve
     Sì di spirti feroci il crudo Eeta,
     Che d’està impresa io temo assai. Del Sole
     Figlio ei si dice; intorno a lui di Colchi
     Stanzia un popolo immenso; ed ei per tuono
     1615Di terribile voce e per gran possa
     Anco potrebbe appareggiarsi a Marte.
     Senza d’Eeta assentimento, il tôrre,
     No, non fia quelle lane agevol cosa:
     Tal d’ogni parte è a custodirlo intento
     1620Vigile sempre ed immortale un drago,
     Cui la Terra produsse in fra le selve
     Là del Caucaso presso al Tifoneo
     Sasso, ove fama è che Tifon percosso
     Dalla folgor di Giove, allor che ardìto
     1625Fu alzar contr’esso le possenti braccia,
     Caldo sangue versò dalla piagata
     Fronte, e di là n’andò ferito a’ monti
     Ed al piano Niséo, dove ancor giace
     Nell’acque immerso del Serbonio lago.
1630Disse, e a molti di subito pallore
     Smorîr le guancie, apparecchiarsi udendo1
     Tanto cimento. Ma con franco ardire
     Gli fe’ tosto Peléo questa risposta:
Troppo così non ti smarrir di cuore,

  1. Var. ai v. 1630-1631. Disse, ed a molti un subito pallore

    Prese le guancie, udendo apparecchiarsi