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I.


Il testamento Ratta


Milano, la grande città del fracasso, dopo aver mandato a casa l’ultimo ubbriaco, si sprofondò nel silenzio grave delle piccole ore di notte.

A San Lorenzo sonarono due tocchi languidi, rotti dalla neve, che cadeva a fiocchi larghi.

Il Berretta, buttato l’ultimo pezzo di legno sul caminetto, fregandosi in fretta i ginocchi, brontolò in fondo alla gola:

— Basta, finirà anche questa.

Nella stanza vicina, dove malamente ardeva una candeluccia benedetta, stava nel suo letto distesa la povera signora Ratta, morta, vestita di una logora gonnella di cotone color terra secca, con in capo la più sgangherata delle sue cuffie famose e sulle gambe sottili un paio di calze di filugello bigio.

Il portinaio Berretta, che aveva aiutato i becchini a collocare sul letto la povera cristiana, che le aveva legate non senza fatica le mani colla corona del rosario, non poteva ora togliersi dagli occhi il fantasma della morta benedetta, quantunque l’uscio della stanza fosse chiuso con due bei giri di chiavetta, e lui, imbacuccato nella pistagna d’un suo antico tabarro fin oltre gli orecchi, voltasse le spalle