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— Tu mi domandi della compassione; ma cara figliuola mia, sei tu che devi avere un po’ di compassione di questo povero vecchio che tutti prendono a perseguitare... — Così proruppe con un improvviso mutamento di voce il signor Tognino, tornando in mezzo al salotto, passando in fretta le mani sugli occhi per dissipare una nebbia, umida di lagrime, segno di debolezza e di stanchezza morale, curvando il capo e la persona alla presenza di una donna che egli collocava molto in alto ne’ suoi pensieri.

E stretta la mano di Arabella, condusse questa a sedere sul piccolo canapè, dove cercò di continuare un discorso difficile e pesante, dal quale gli sfuggivano idee e parole. Lottò un pezzo colla sua incapacità, chiudendo la bocca al singhiozzo, premendo il fazzoletto sulle pupille oscure e dense, crollando rapido la testa come se compatisse sè stesso.

Finalmente, dopo aver portata due volte la mano delicata di Arabella alle labbra, mormorò:

— Abbi pazienza...

— Si sente male?

— Oh sì, molto, qui... — disse, battendo colla mano il petto.

— Se io ho potuto dire qualche cosa di spiacevole... — balbettò Arabella, fissando lo sguardo sul viso pallido del vecchio.

— No, no, povera figliuola.

Arabella si raccolse in una penosa concentrazione davanti all’improvviso trasfigurarsi di un uomo, che due minuti prima aveva visto nel pieno vigore del suo carattere ardente e tenace. Una di quelle voci improvvise, che nel cuore dei buoni sono annunci di ignote verità, sorse a domandarle, suscitando nell’a-