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rette da un papa che ad un uomo di chiesa, estraneo alle forze militari e in genere al potere esecutivo; in secondo luogo perchè esse sono affatto incompatibili col senso generale «adoperati in vece mia presso gli isolani onde indurii a rimettere in Ravenna il dominio imperiale» essendo Orso appunto uno ed il primo degli isolani stessi1. È chiaro che, come il Pinton indirettamente afferma, a nostra vice» nella lettera del papa ad Antonino si adatta benissimo, perchè il patriarca di Grado rappresentava nel ducato e in genere nella sua circoscrizione metropolitana il potere spirituale del pontefice, ma il Pinton non ha dimostrato che quella frase sia stata usata nei documenti solo per le autorità vicariali e non mai in un senso indeterminato e generico come nelle scritture comuni2. E in questo senso, per quanto mi sembra, può essere interpretata senza difficoltà nella lettera del papa al doge. Gregorio III voleva eccitare la comunità veneziana a muovere contro Ravenna; in luogo di fare appello direttamente agli uomini dì essa, si rivolse al governo, perchè, convocando l’assemblea, provocasse dalla rappresentanza legale del comune una deliberazione favorevole all’impresa. La deliberazione era affatto politica e di somma importanza, e però il papa nel suo stesso interesse non poteva fare a meno di scriverne al doge, altrimenti questi, ferito da quella ingerenza nel suo amor proprio, forse non avrebbe aiutato l’opera di Gregorio. D’altra parte l’esarca che si era rifugiato nel ducato, faceva vive istanze perchè i Veneziani riprendessero Ravenna ai Longobardi, come risulta dalla lettera di Gregorio III ad Antonino3. E da quesa pure è dato argomentare che presso i Veneziani vi possano essere state incertezze e forse anche riluttanze per la spedizione, perchè sino allora Eutichio nulla aveva ottenuto oltre l’ospitalità, e d’altra parte la curia romana non avrebbe scritto in quel modo se non era persuasa che senza il suo

  1. Pinton, Op. Cit. p. 24.
  2. Il Lexicon del Forcellini (Lexicon totius latinitatis cura et studio doct. Vincentii De-Vit, VI, 325) dà numerosi esempi dell’uso di vice nel significato generale. Esempi consimili non mancano nemmeno nella letteratura latina del medio evo e fra gli altri ne ho trovato uno in una lettera della stessa cancelleria apostolica il quale appartiene all’anno 601. Gregorio I scrivendo alla patrizia Rusticiana (Mansi, Collectio conciliorum, X, 275; Jaffe, Regesta Pontificum, 2a ed. n. 1816) usa rispetto a lei le seguenti frasi: «dilectisdmum filium meum domnum Strategium cum gloriosis parentibus suis filiis vestris mea peto vice salutari». E così pure il medesimo papa chiuse una lettera che scrisse nel 595 ad un’autorità secolare, cioè a un conte Narsete (Mansi, op. cit. X, 11; Jaffè, op. cit. n. 1393): «vestros, qui nostri sunt, mea vice salutate, et nostri, qui vestri sunt, per me vos multum salutant».
  3. A preferenza della lettera ad Orso, la quale pure contiene la stessa notizia, ho ricordato quella ad Antonino, perchè sull’autenticità di essa non vi sono forti dubbi.