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degli archivi toscani 245

io, che ricordandomi della liberalità usatami, canzonai in dolce, e non mi dolsi mai che la mia gratitudine non fusse riconosciuta, chè havrei forse errato; ma mi ramaricai bene che mi fusse fatto ingiuria: chè fu un gran disfavore a me et a l’opre mie, che in una ricognitione generale fussi dimenticato io che haveva operato a par degli altri, et era servitore più antico degli altri. Pure haverò imparato questo dalla lor filosofia; di non dir mai più bene nè de’ morti nè de’ vivi, e spetialmente di quei vivi che m’han fatto del bene. Ella si maravigliarà che io l’habbia raccontate queste cose fuor di proposito; ma s’havrebbe più tosto a maravigliare, che in questa occasione non sia entrato nel trotto degli asini un’altra volta; chè ella sa bene, che è privilegio degli offesi di potersi querelare fuor di proposito con ognuno. E vi è un’altra ragione, che questa, se bene è una lettera in prosa, doveva essere una satira in versi; ma l’ho scritta in prosa, perchè mi ricordo che un fiorentino mi disse una volta in Francia, a un certo proposito, che se le lettere di cambio si facessero in versi, non se ne pagherebbe mai niuna: talchè io che desidero che mi sia pagata almeno d’una risposta1 (siasi qual si voglia), l’ho voluta scriver nella forma che ella vede; querelandomi prima, e poi pregandola che mi voglia havere in quel luogo che dice la mia canzone; alla qual mi rimetto. E parli un poco di me con don Silvano, che mi conosce, et al modo del suo procedere mostra di haver giudicio e di conoscere il buono; e mi perdoni se, per risentirmi contra il disprezzo che mi pareva patire a torto, sono usclto alquanto dei termini; chè non resta per questo, che io non le sia quel devotissimo servitore che dicono i miei versi: a’ quali riportandomi, farò fine, pregando a lei ogni felicità, et aspettando a me una risposta da duca e non da sofista. Di Venetia, a dì 22 di maggio 1563.

Della Eccellenza Vostra

humilissimo e devolissimo servitore
Giovanni Andrea dell’Anguillara.


Per quanto Giovanni Andrea dell’Anguillara si adoperasse a dipignere se medesimo nelle sue opere, e specialmente negli scherzosi capitoli, niun documento conosco, che meglio ce lo rappresenti così a dentro come questa lettera, che si trova autografa nel carteggio del duca Cosimo. Periochè, fatta tacere ogni ragione che da prima potè dissuaderne dal pubblicarla, si volle qui esibirla, e per accrescere di qualche notizia la biografia di un uomo del quale poco si conosce oltre le opere e i vizi, e per comprovare con tale esempio come l’orgoglio e la viltà si ammoglino nei cortigiani, che il nobile ministero delle lettere esercitando, non seppero levarsi sopra le passioni, e la povert sofferire; ma vollero pane e onori a ogni costo, o vituperando o adulando.

C. Guasti


  1. Non si è trovata la risposta di Cosimo; il quale nel sommo margine della lettera scrisse di propria mano: Sumario.