Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870).djvu/344

Da Wikisource.
50 i porti della maremma senese

belle di Port’Ercole a quelle di Talamone, il cui provento si riteneva il Comune; con questa dichiarazione che se le mercanzie avessero pagata la gabella nell’un Porto, non dovessero ripagarla nell’altro. Gli affittuari ebbero tempo sei anni ad eseguire i lavori a cui si erano obbligati, a pena di cadere da ogni loro ragione, e di perdere ciò che in que’ luoghi avessero acquistato. «Grosseto, Ischia, Montepescali, Batignano e Campagnatico e tutte l’altre terre di maremma da fiume dell’Ombrone in là furono tenute dare a’ predetti cittadini una opera per huomo a loro richiesta, senza aver lo’ a fare alcuno pagamento; e le dette opere si dovevano dare e convertire per edifizio, muraglie o cose pertinenti a fare e fortificare detti luoghi»1. A questi patti il Comune di Siena allogò Mont’Argentaro e Port’Ercole, riservandosi il mero e misto imperio, e la facoltà dopo dieci anni di mandare a Port’Ercole un offiziale che vi avesse l’autorità simile a quella del podestà d’Orbetello, sottoponendolo, quanto alla guardia del luogo, al podestà di Magliano.

Questa locazione durò quattordici anni, anche troppi, a nostro giudizio, per rendersi persuasi dei danni che ne derivavano a quei luoghi ed allo stesso Comune. E difatti alcuni cittadini, eletti e deputati per autorità del Consiglio del Popolo a fare provvisioni sopra la materia di Port’Ercole, presentarono al Consiglio il dì 26 agosto 1474 un ricordo, dove anzi tutto chiedevano che le convenzioni fatte nel 1460 con Giacomo di ser Giovanni di Minoccio e con i suoi compagni fossero abrogate2.

E considerando di quanto pregio era Port’Ercole, fecero proposta che d’allora innanzi la guardia ed il governo di quel Porto e del Monte Argentano avessero tre castellani, uno dei quali sarebbe a vicenda il vicario, e con loro dimorassero otto fanti, d’età almeno di venti anni

  1. Instrumentario del Comune, detto il Caleffetto, a c. 132 t. e segg.
  2. Consiglio della Campana, n. 240, c. 261.