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i porti della maremma senese 53

essere al colmo, nè sopportare dilazione alcuna: avviliti gli animi, depresse le forze1. Provvide, prima della repubblica, lo stesso re Ferdinando alle squallide condizioni della maremma, allontanandone le milizie che per cagione della guerra già cominciata contro Firenze, toglieva ai quartieri d’inverno. Ed allorchè per impeto di uno di quei tumulti popolari che tennero sempre debole ed inquieta la città, i Riformatori caddero, e si ricompose il governo coi Nove e coi Popolari (22 giugno 1480), la nuova Signoria non indugiò molto a volgere le sue cure ed i suoi pensieri ai Porti ed alle terre della maremma. Così, ai 18 dicembre di questo anno, si vinsero in Consiglio alcune provvisioni, mercè cui si allettavano i vecchi abitanti di que’ luoghi a non emigrare, gli emigrati a tornarvi2. Volevasi accrescimento di popolazione col mezzo di privilegi e di concessioni, mezzo insufficiente all’uopo; mentre se non crescevano, restavano come per lo passato le cause che malsana facevano e poco sicura, e perciò disabitata, la maremma senese.

Pareva intanto che il commercio della città riprendesse qualche vigore, specialmente quello dei panni di lana, dei quali si trasportava in Oriente gran copia. I mercatanti senesi che ne traevano ingente lucro, dolevansi che la città non avesse in quelle lontane parti chi vegliasse alla tutela loro e del loro commercio. Quindi un po’ tardivamente, ma pure con avveduto consiglio, la Signoria scrisse addì 11 agosto 1489 al gran turco, pregandolo ad acconsentire che nelle parti del suo Impero risedesse un console, oriundo di Siena, di non dubbia fede ed integrità, del quale potessero i mercatanti senesi giovarsi nelle loro occorrenze, siccome costumavano di fare i Veneziani, i Fiorentini, quei di Ragusa e d’Anco-

  1. Lettera dei commissari Santi di Bartolommeo di Santi e Giovanni di Antonio di Neri al Concistoro, dei dì 30 ottobre 1477.
  2. Collegio di Balìa, Deliberazioni, n. 19, c. 61 t.