Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871).djvu/515

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della poesia di virgilio 509

dati in Italia, consumata ogni vivanda1, per ben satollarsi danno di morso ai pani che sull’erba distesi facevano vece di mensa, Ascanio alludens esclama: Anco le mense si mangiano; e il padre, conoscendo adempita la minaccia scherzevole di Celeno (rivolto in fausto l’augurio sinistro, come il cuore dettava al poeta, che fa più miti le Arpie delle Dee2), il padre grida: Salve, o terra, a me serbata da’ fati; e voi salvete, o di Troja fidi Penati. Quest’è la mia patria. E Anchise gli aveva anch’egli predetto così: Hoc erat illa fames; haec nos suprema manebat Exitiis positura modum. E invita i compagni a far libagione sacra, e invocare Anchise il padre; e si cinge di verde corona, e invoca il Genio del luogo, e la Terra, e la Notte e i suoi segni lucenti, e Giove Ideo, e Cibele madre, e Diana, nel cielo e ne’ regni sotterranei potente. Ascanio, correndo in caccia, è cagione involontaria che si rattizzi la guerra3; poi nell’assediata città, solo, pare che rappresenti il padre lontano; e non potendo con altro, dà pegno del proprio valore (non tenue pegno) la gratitudine ch’è dimostra ai due giovani prodi, che si offrono a ricondurgli il padre e a stornare col proprio il comune pericolo4. Bello il chiamare venerando un giovanetto coetaneo; perchè nel consacrarsi piamente al pericolo è una forza che ispira venerazione. Bello il cingerlo della sua propria spada, e promettere a Eurialo raccomandante la madre, che questa a lui sarà madre, non altra da Creusa se non solo di nome: revocate paventem, Reddite conspectum: nihil ilio triste recepto. E le parole multa patri portanda dabat mandata ricordano le bellissime del vivente degno ammirator di Virgilio: Le donne accorate, tornanti all’addìo, A preghi, a’ consigli, che il pianto troncò5. Accorgimento di sapiente modestia è il fare che Ascanio, data prova di destrezza animosa nel colpo diretto contro il vantatore nemico, sia da’ suoi quasi di forza sottratto al cimento: Ascanium prohibent, ipsi in certamina rursus Succedunt, ani-

  1. E. 7.
  2. E. 3.
  3. E. 7.
  4. E. 9.
  5. Manz., Coro dell’Adelchi.