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XXI

A PAPA CLEMENTE

Lo ringrazia del breve per la stampa della Marfisa, e gli chiede scusa d’avere scritto contro di lui, specie mentre era prigioniero in Castel Sant’Angelo. Nè al grado né al sangue di Quella si confaceva la crudeltá de l’ostinazione; perciò la Beatitudine Vostra mi si è dimostra piú facile negli effetti che ne le intercessioni. Monsignor Girolamo da Vicenza, vescovo di Vasone, suo maggiordomo, qui in casa de la regina di Cipri, sorella di Cornaro, mi ha posto in man propria il breve. E, perché a lui lo imponeste con i comandamenti, mi ha detto che gli diceste che mi dicesse: come né de Tesser di forier di Rodi divenuto pontefice, e di pontefice prigione, vi siate tanto stupito, quanto de l’avervi io lacerato il nome con i miei scritti, massimamente sapendo io perché non puniste altrui de lo assasinamento esperimentato sopra la persona mia. Padre santo, in tutte le cose, che io mai dissi o composi, sempre a la lingua fu conforme il core; ma, nel toccarvi l’onore, la fedeltá sua le ha ognor protestato di non aver colpa nel suo proverbiarvi. Ma, se quegli, i quali son giunti al sommo de le grandezze mercé vostra, vi hanno oltraggiato -con le lance, qual maraviglia se io vi ho ingiuriato con le ciance? lo ho pentimento e vergogna di due cose. Mi pento di aver biasimato quel papa, del quale ebbi sempre piú cara la gloria che la mia vita; e vergognomi che, volendolo pur biasimare, T ho fatto ne lo ardore degli infortuni suoi. Ma non saria stata pessima la sorte, che vi serrò in Castello, se non vi inimicava me ancora. Ora io ringrazio Iddio che a voi ha tolto de l’animo le durezze degli sdegni, e a me de la penna le dolcezze del vendicarmi. E per lo avenirc vi sarò quel buon servo che vi fui, quando la mia vertú, che si pasceva de la laude vostra, si armò contra Roma nel vacar de la sede di Leone; e farò