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XL

AL VERGERIO

Gode che il Vergerio, diventando prelato, sia restato buono: critica l’avarizia di Clemente VII e loda la generositá di Ferdinando d’Austria e di Francesco I. Con gran consolazione ho ricevute due di Vostra Signoria, e tanto pili mi sono state care quanto men l’aspettava, perché, subito che un si mescola fra i prelati, diventa de la natura loro, ed è maggior miracolo che il Vergerio sia quel Vergerio che era qui, che non è che io sia alievo dei preti e buono. Ma, poiché io vi trovo quel mio dolce e amorevole messer Pietro Paolo che séte stato sempre meco e con tutti, io mi rallegro de la trasfigurazione da la prima professione a la seconda, piú che non me n’era attristato: perché, se non fusse mai se non il conservarsi ne Tesser da bene, giudicava molto meglio per voi la corte vineziana che la romana; ma, perseverando ne l’uomo deritto, come io veggo che fate, savissima stimo la vostra elezzione, ché invero voi giocate il tempo inverso una maggiore speranza. E, per tornare a le vostre lettere, ne le quali mi parlate dei degni meriti de l’ottimo re dei romani, io giá ne sono informato dal mio duca d’Atri. Sua Eccellenza mi ha letto una lunga istoria de la bontá, de la religione e de la liberalitá sua, che piú importa nel vero principe che quanta bontá, quanta religione e quanta fede si possa trovar nel mondo. E per cotale strada ascende il re Francesco, senza la cortesia del quale ogni spezie di vertú sarebbe una spezie di generazion divina sbandita dal cielo. E, perché non paia che io lodi Sua Maestá per il dono de la collana, veggasi il bene che ha fatto al divino Luigi Alamanni, al solo Giulio Camillo, al mio Alberto e a tanti altri belli spirti. Egli intraliene pittori, premia scultori, contenta musici. E, caso che nostro signor vada a Nizza ad abboccarsi seco, vedrete il piú strano miracolo che si udisse mai. Né ’l dice il Gaurico, profeta dopo il fatto, ma fino a le lingue de la mia