Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/191

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visitarvi e da voi ritrar beneficio e di essaltarmi con esse, mi sforzarci di usare i termini con cui un par mio debbe procedere quando visita, quando ricerca favore e quando manda carte a un principe simile a Vostra Eccellenza. A la cortesia de la quale indirizzo questa di man propria, perché Ella sappia che l’Aretino, suo servitore, la Iddio mercede, è vivo e piú che mai ardente nel desiderio di compiacerle. Benché non si può chiamar virtuoso né uomo chi non vi riverisce col fervore che vi reverisco io, che non veggo mansuetudine né dolcezza che arrivi a la dolcezza e a la mansuetudine con che voi incatenate le affezzioni de le persone atte a comprendere ciò che sia mansuetudine e dolcezza. Veramente, se la bontá fusse inferiore a l’altre virtú, come ella gli è superiore, battezzarci lo esser voi buono per la minor virtú che abbiate. Cosi vi diventi beatitudine la infelicitá de la sorte, come io dico il vero. Benché, dove guarda Sua Maestá, non solo è liberalitá di fortuna, ma prosperitá di vita ancora, percioché la affabilitá di quella nutrisce l’altrui menti e gli altrui cori. E io, per me, terrei il re Francesco un dio con l’abito umano, caso che le sue promesse non invecchiassero le speranze degli uomini.

Di Vinezia, il 13 di novembre 1539.

CDLXXIV

AL GRAN CONTESTABILE

[Anna di Montmorenci] Nuove insistenze pel pagamento dei seicento scudi promessigli dal re Francesco. Tre sorti di crudeltá, signor mio, si sono in Francia: l’una continuo tormenta Sua Maestá accioché doni; l’altra sempre assassina Vostra Eccellenza perché sborsi i denari donati; e l’altra tuttavia crocifigge coloro che le chieggono le grazie de le promissioni. Onde io ho quella compassione al re da ognuno