Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/30

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d’amicizia né tenerezza di sangue, non cura di sé né d’altrui, e, sottoponendosi agli accidenti de la fortuna, commette sempre la somma de le imprese ai suoi casi. Costume contrario a noi, che le raccomandiamo a la virtú medesima, anzi a la volontá de Dio proprio. E perciò voi, che séte lo spirito de la sua religione, attendete a ridurre in uno le corone dei due cognati, del cui sopraumano valore sará premio il Levante. Ché non è odio né ostinazion né gara quello, che, senza riguardare a la natura nobile e piana de lo imperadore e del re, si attraversa fra l’uno e l’altro volere; ma un poter ritroso de la invidia dei fati, i quali vorrieno predominargli l’intenzione e la fama. Si che non vi ritenga il centro di cotanta fatica ; ché, se vi avete acquistata una lode smisurata per cominciarla, di che grandezza sará quella che s’acquistará la Santitá Vostra, fornendola ?

Di Venezia, il 5 di giugno 1538.

CCCXLV

AL CARDINAL DI LORENO

Si duole che gli sien venuti meno i doni del re di Francia e lo prega di recapitare la lettera cccxxn. Doppo i saluti ch’io, o signore, vi mando con affetto di somma riverenza, dico a Sua Maestá e a Vostra Signoria ch’io merito i doni de l’una e de l’altra, o no. S’io gli merito, è bassezza de l’altitudine d’un si gran re e d’un si gran cardinale l’aver cominciato a darmi e non seguitare. S’io non gli merito, avendomi la sua corona e il vostro cappello pur dato, dovresti, sendo proprio dei grandi il volere che fia bene ciò che fanno, per non parer d’aver mal fatto, darmi ancora. E, nel basciarvi la mano, suplico la estrema dolcezza de la benignitá Lorena che favorisca la lettra, che, per esser io cristiano, scrivo al sire cristianissimo.

Di Venezia, il 5 di giugno 1538.