Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/104

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l’amor che tutto il mio cor vi porta, ve l’ho aggiunto ne lo intendere il pericolo e la salute de la vostra e infermitá e valitudine. Perochc l’una, col duol pigliatone, tolse me da me stesso, e l’altra, con la consolazione avutane, ha renduto me a me medesimo; talché tanto debbo congratularmene con la mia anima quanto con la Vostra Eccellenza, poiché, guarendo voi, son sanato anch’io. Certamente la indisposizione, che vi afflisse, è stata a le speranze, che altri dee adempire ne la mercé de la bontá di voi, ciò che sono a le biade, che stanno per incerarsi, le nocive nebbie di maggio. E però, adesso che la pietá divina vi ci rende, come da noi si desidera, siate piú parco in dispensare i vigori che reggon la vita. Imperoché, sendo lo star sano felicitá fin ne’ poveri mendici d’ogni cosa, è da credere ch’egli sia beatitudine nei principi abondanti d’ogni grazia. Ma come è possibile che si amali tino uomo sostenuto nel mondo da ciascuna specie di prosperitade? suggetto da risuscitare i quasi morti, nonché da fugare le febri. Si che godetivi nei gaudi di si fatte venture con il riposo d’una chiara tranquillitá di mente. E, avenga che vi paia di assicurarvi dagli accidenti de le malattie e istabilirvi una perpetua quiete dentro a le viscere, tenete ognora aperto l’uscio de la liberalitá; conciosiaché il grido de la fama, che si acquista donando, è di tanto conforto, che i morbi ne rimangono confusi e gli umori purgati, e, quel che piú importa, ella è carcere de la invidia, croce de la malidicenzia, morte de la calunnia e sepoltura de la ignominia. Or usate per medicina la ricetta che vi insegna la fervida sinceritá dei miei ricordi ; peroché, mentre voi attenderete a farvi in ciò ogni di piú bello e piú robusto, io, pigliando il mezo che regna fra il troppo e il poco, mi ingegnarò d’intertenere la Signoria Vostra illustrissima con alcuna di quelle cose che mi suol dettar la fantasia. Dí Vinezia, il 28 d’agosto 1541.