Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. II, 1928 – BEIC 1738143.djvu/113

Da Wikisource.

decimonono 107


92
     Cosí disse egli, e fe’ portare in fretta
due grosse lance, anzi due gravi antenne;
et a Marfisa dar ne fe’ l’eletta:
tolse l’altra per sé, ch’indietro venne.
Giá sono in punto, et altro non s’aspetta
ch’un alto suon che lor la giostra accenne.
Ecco la terra e l’aria e il mar rimbomba
nel mover loro al primo suon di tromba.

93
     Trar fiato, bocca aprir, o battere occhi
non si vedea de’ riguardanti alcuno:
tanto a mirare a chi la palma tocchi
dei duo campioni, intento era ciascuno.
Marfisa, acciò che de l’arcion trabocchi,
sí che mai non si levi, il guerrier bruno,
drizza la lancia; e il guerrier bruno forte
studia non men di por Marfisa a morte.

94
     Le lancie ambe di secco e suttil salce,
non di cerro sembrâr grosso et acerbo,
cosí n’andaro in tronchi fin al calce;
e l’incontro ai destrier fu sí superbo,
che parimente parve da una falce
de le gambe esser lor tronco ogni nerbo.
Cadero ambi ugualmente; ma i campioni
fur presti a disbrigarsi dagli arcioni.

95
     A mille cavallieri alla sua vita
al primo incontro avea la sella tolta
Marfisa, et ella mai non n’era uscita;
e n’uscí, come udite, a questa volta.
Del caso strano non pur sbigottita,
ma quasi fu per rimanerne stolta.
Parve anco strano al cavallier dal nero,
che non solea cader giá di leggiero.