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ventesimoprimo 153


16
     Ma né sí saldo all’impeto marino
l’Acrocerauno d’infamato nome,
né sta sí duro incontra borea il pino
che rinovato ha piú di cento chiome,
che quanto appar fuor de lo scoglio alpino,
tanto sotterra ha le radici; come
il mio fratello a’ prieghi di costei,
nido de tutti i vizii infandi e rei.

17
     Or, come avviene a un cavallier ardito,
che cerca briga e la ritrova spesso,
fu in una impresa il mio fratel ferito,
molto al castel del suo compagno appresso,
dove venir senza aspettare invito
solea, fosse o non fosse Argeo con esso;
e dentro a quel per riposar fermosse
tanto che del suo mal libero fosse.

18
     Mentre egli quivi si giacea, convenne
ch’in certa sua bisogna andasse Argeo.
Tosto questa sfacciata a tentar venne
il mio fratello, et a sua usanza feo;
ma quel fedel non oltre piú sostenne
avere ai fianchi un stimulo sí reo:
elesse, per servar sua fede a pieno,
di molti mal quel che gli parve meno.

19
     Tra molti mal gli parve elegger questo:
lasciar d’Argeo l’intrinsichezza antiqua;
lungi andar sí, che non sia manifesto
mai piú il suo nome alla femina iniqua.
Ben che duro gli fosse, era piú onesto
che satisfare a quella voglia obliqua,
o ch’accusar la moglie al suo signore,
da cui fu amata a par del proprio core.