Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/119

Da Wikisource.

trentesimosettimo 113


48
     Capitò quivi un cavallier di corte
del greco imperator, che seco avea
una sua donna di maniere accorte,
bella quanto bramar piú si potea.
Cilandro in lei s’inamorò sí forte,
che morir, non l’avendo, gli parea:
gli parea che dovesse, alla partita
di lei, partire insieme la sua vita.

49
     E perché i prieghi non v’avriano loco,
di volerla per forza si dispose.
Armossi, e dal castel lontano un poco,
ove passar dovean, cheto s’ascose.
L’usata audacia e l’amoroso fuoco
non gli lasciò pensar troppo le cose:
sí che vedendo il cavallier venire,
l’andò lancia per lancia ad assalire.

50
     Al primo incontro credea porlo in terra,
portar la donna e la vittoria indietro;
ma ’l cavallier, che mastro era di guerra,
l’osbergo gli spezzò come di vetro.
Venne la nuova al padre ne la terra,
che lo fe’ riportar sopra un ferètro;
e ritrovandol morto, con gran pianto
gli diè sepulcro agli antiqui avi a canto.

51
     Né piú però né manco si contese
l’albergo e l’accoglienza a questo e a quello,
perché non men Tanacro era cortese,
né meno era gentil di suo fratello.
L’anno medesmo di lontan paese
con la moglie un baron venne al castello,
a maraviglia egli gagliardo, et ella,
quanto si possa dir, leggiadra e bella;