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atto quarto. — sc. vi. 185

Volpino.                            Sarò qui subito.
Fulcio.Vai tu lontan?
Volpino.                         Anzi qui presso.
Fulcio.                                                     Voglioti
Far compagnia.
Volpino.                         Gli è meglio, ch’avrò spazio
Di conferir le cose nostre. Oh diavolo!
Fulcio.Ti rompa il collo! c’hai tu?
Volpino.                                              Oimè, oimè misero!
Son disfatto, son morto.
Fulcio.                                          C’hai tu, bestia?
Che t’accadde?
Volpino.                          Deh piglia il lume, Fulcio,
Ed accompagna questi gentiluomini.
Che maledetta sia la mia memoria!
Fulcio.Deh tenetevel pur voi stessi, e fatevi
Lume fra voi; perchè quanto accadutogli,
O bene o mal di nuovo sia, vô intendere.
Critone.Galanti servidor, cortesi gioveni
Amendue siete. Certo, se pericolo
Non ci fosse che i birri, ritrovandoci
Senza lume a quest’ora, ci pigliassino;
E domattina, senza pur intendere
Chi siamo, o darci tempo di ricorrere
Al signor per la grazia, ci facessino
Mostrar in su la corda il cul al popolo;
Per dio, poltroni indiscreti, v’avressimo
Lasciato il vostro torchio. Or su, facciamoci
Lume noi stessi, e facciam, come i poveri
Cavalier, che l’un l’altro s’accompagnano.
Fulcio.Che t’è di nuovo accaduto?
Volpino.                                              Oimè! il Trappola
È rimasto coi panni di Crisobolo
In dosso; ed io non ho avuto memoria,
Prima ch’intrasse mio patron, di correre
E farlo a un tratto dispogliar e rendergli
Il suo gabban, ch’è dentro alla mia camera.
Fulcio.O trascurato e dappoco uom! Va subito,
E fàllo in qualche lato almen nascondere,
Chè non lo vegga tuo patron.
Volpino.                                                  Mi dubito
Che sarò tardi; e ben son tardi a giungere



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